Origini
Il “Civico Teatro Faraggiana” venne costruito nel 1905 per volontà del marchese Raffaello che lo donò alla città nel 1911.
Era il terzo teatro cittadino, dopo il Coccia e il Municipale-Politeama, ma il legame tra gli spettacoli e le famiglie aristocratiche o altoborghesi aveva una lunga tradizione.
Il teatro infatti era un luogo di alta socialità, incontro privilegiato per il pubblico che amava frequentarlo: alle prime, i palchi, la platea, la galleria, il loggione erano sempre gremiti, inoltre c’era chi vi si ritrovava non solo per spettacoli ma anche per concerti, veglioni e, a volte, riunioni di argomento politico.
Progetto
Il “Civico Teatro Faraggiana” era nato da un preciso progetto della famiglia, di Raffaello in particolare, per offrire alla città uno spazio di cultura più ampia rispetto al teatro principale dell’epoca, il Coccia, di proprietà e gestione della Società dei Palchettisti, che erano poi gli esponenti delle grandi famiglie, aristocratiche e borghesi, cittadine.
Per inciso: quando pensò a un proprio teatro, Raffaello era nel consiglio direttivo del Coccia e, dal 1876, ne era stato, a più riprese, presidente, coinvolto in non pochi scontri relativi alla programmazione.
Progettato e realizzato dall’architetto Giuseppe Oliverio di Milano, il Faraggiana aveva una platea di circa 15 metri di diametro, con un frontone del boccascena di 12 metri. Tra i fregi sopra il palcoscenico troneggiava la “F” della famiglia. La pianta era a ferro di cavallo e comprendeva 378 posti a sedere in platea, 19 palchi, una galleria per 227 persone e un loggione per 256.
Decorazioni, modanature a stucco, fregi furono in gran parte distrutti nell’incendio del 1940, mentre, sotto la controsoffittatura dell’atrio, è ancora leggibile “il trionfo di Apollo” affrescato dal pittore Cenni di Milano.
Per l’epoca si trattò di un lavoro magistrale, i giornali gli dedicarono articoli entusiastici congratulandosi col senatore Faraggiana per “l’idea felicissima di un nuovo teatro” che poteva offrirsi “oltre che per gli spettacoli tradizionali, come luogo di assemblee numerose, o varie manifestazioni”.
La famiglia aveva così lasciato il suo segno distintivo e immediatamente riconoscibile sul terreno della storia e della polis: il teatro infatti è azione collettiva e, da due millenni, fare teatro corrisponde a fare politica.
Attività Il primo spettacolo fu La sonnambula di Bellini, poi tanti anni di successi. Se nel periodo gestito in prima persona da Raffaello vengono privilegiate la lirica e la prosa, non viene comunque trascurata la nuova arte cinematografica a cui tutta la famiglia era preparata dalla passione per la fotografia. Poi, con una serie di spettacoli ben azzeccati, grazie anche agli impresari che si avvicendarono nella gestione, il Faraggiana si venne gradualmente radicando nelle consuetudini teatrali della città. Bisogna aggiungere che Raffaello e il presidente del Coccia, all’epoca il marchese Fossati, stabilirono un accordo per evitare concorrenze disastrose.
Finalità Il “Civico Teatro” consentì alla famiglia di realizzare la propria vocazione culturale; quasi subito dopo l’inaugurazione infatti, lo spazio venne aperto anche a spettacoli di beneficenza: per gli scrofolosi, i piccoli spazzacamini, le orfanelle, i “poveri vergognosi”, i malati cronici. La beneficenza, come la intendevano i Faraggiana, non era solo materiale: due volte a settimana il loro chalet-museo di Meina si apriva per gli abitanti dei paesi sul lago; pescatori e contadini venivano messi in condizione di aprire gli occhi su mondi sconosciuti. E la donazione del Teatro alla comunità cittadina, da parte di Raffaello, rivela molto sulla continuità tra passato e presente che il progetto perseguiva: le biblioteche della famiglia (oggi in gran parte disperse da chi avrebbe dovuto averne cura) la collezione d’arte, i reperti archeologici, la passione per le immagini, e per la memoria che esse conservano, dicono con assoluta chiarezza che, per i Faraggiana, conoscere il passato è un atto morale. Per Raffaello, la memoria come attitudine etica, unita al desiderio di essere ricordato, si innestava positivamente sulla consapevolezza di offrire un regalo utile, in cui la società novarese potesse guardare se stessa, conoscere la propria storia e le proprie tradizioni e confrontarle con altre.
Patrimonio culturale La famiglia donò alla città anche il Museo naturalistico, con relativa Fondazione per affiancare e sostenere il Comune nella gestione e per potenziarne la capacità divulgativa; inoltre la donazione della villa di Albissola ne ampliava la valenza, infatti era dichiaratamente “parte integrante del Museo come testimonianza del costume di un’epoca”. Il patrimonio donato ha ricevuto un’ulteriore dotazione in azioni, obbligazioni, affitti per garantirne il funzionamento. Il “Civico Teatro Faraggiana” ha subito molti rovesci nel suo secolo di vita, il più grave fu l’incendio del dicembre 1940; l’amministrazione comunale, guidata dal podestà conte Leonardi, si affrettò nell’opera di restauro e di ripristino degli spazi ma, pur ringraziando per tanta solerzia, alla riapertura del 1942 Alessandro e Giuseppe non parteciparono: l’allontanamento del vice-podestà Mario Toscano, che era ebreo, aveva creato una distanza insormontabile. Negli anni precedenti il vice-podestà aveva gestito l’acquisto di Palazzo Faraggiana e la donazione del Museo di Meina da parte di Caterina; la corrispondenza tra loro rivela una sintonia di cultura e di interessi che nessuna legge, o appartenenza di razza, poteva cancellare.
Il “Civico Teatro” divenne “Teatro del Popolo” agli inizi degli anni Venti, ma i legami con la “politica” non sono sempre stati utili ai Faraggiana e al Teatro; eppure, grazie alla loro imponente donazione, la città è ancora qui a confrontarsi su modelli e progetti culturali. Nello stemma della famiglia si vede l’araba fenice in cima a una torre, protetta da due leoni: è dunque sperabile che la creatura mitologica, capace di risorgere perennemente dalle proprie ceneri, sia di buon auspicio per l’impresa del “Nuovo Teatro Faraggiana”.
Raffaello Faraggiana Caterina Ferrandi
La Famiglia Faraggiana
Caterina Ferrandi (1856-1940) era la più bella ragazza di Novara; era anche molto ricca e quando sposò Raffaello Faraggiana (1841-1911) fu un’unione di patrimoni.
I Faraggiana, Nobili di Sarzana, proprietari terrieri e armatori di navi, erano da secoli molto benestanti ma nulla in confronto alla miniera d’oro che ereditarono dallo zio materno di Raffaello, Giovan Maria de Albertis, il quale, prestando denaro alla nobiltà, aveva incamerato gioielli, opere d’arte, libri antichi, case, cascine e terreni, ivi compresi i tremila ettari del tenimento di Castellazzo grazie al quale Caterina e Raffaello acquistarono il titolo di marchesi nel 1879.
La neo marchesa Faraggiana era una signora raffinata ed elegantissima ma, tutta la città sapeva che era figlia dell’avvocato Ferrandi e della sua cameriera, l‘avvenente Fanny.
Caterina e Raffaello ebbero due figli: Alessandro (1876-1961) e Giuseppe (1880-1965) che non avrebbero potuto essere tra loro più diversi; il primo, ufficiale di artiglieria a cavallo, divenne attento custode del patrimonio ereditato; il secondo, brillante avvocato interessato agli “ultimi”, riuscì a far evaporare la sua parte e morì in totale povertà.
In poche righe è difficile dar conto della complessità e della ricchezza culturale della famiglia, già accennata nella storia del teatro e fatta di molteplici rami parentali, ma il patrimonio di immagini che ha lasciato, grazie anche al laboratorio fotografico costruito nel giardino di Meina, è utile a illuminare le relazioni in cui i Faraggiana erano inseriti nel passaggio tra Otto e Novecento, sia nella microstoria cittadina, sia nella rappresentazione più ampia del rapporto tra aristocrazia e classi emergenti.
Non si può infatti ignorare che la famiglia ha voluto affidare a un museo e a un teatro un ruolo specifico nel processo di costruzione della memoria, singolare e collettiva, che mai dimentica i legami profondi con il proprio passato.